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Tre sogni che sconvolsero il mondo

Tre sogni che sconvolsero il mondo

La prima decade di Novembre ha da sempre acceso ed ispirato cupe e fantasiose immagini nella mente dell’uomo occidentale. Consacrato al culto dei defunti fin dall’antichità, il periodo a cavallo tra i mesi autunnali di Ottobre e Novembre è da sempre considerato una “finestra” temporale nella quale il confine, tra questo mondo e l’altro, si fa’ più sottile. Uomini trapassati, spiriti infernali e più in generale molteplici visioni insolite camminano, non viste, nelle città e nei borghi dell’Occidente. Fu proprio alla fine di questo periodo, in una gelida notte tra il 10 e l’11 Novembre del 1619, che un giovane soldato francese di nome René, ventitreenne al soldo dell’armata cattolica di Massimiliano di Baviera, ricevette la visita notturna di tre sogni destinati a cambiare la storia dell’umanità. Il giovane soldato non era a conoscenza, e probabilmente non lo fu mai nemmeno in età avanzata, della portata storica di quei tre sogni, ma i posteri possono oggi esserlo con certezza, sapendo bene come quello che all’epoca era solo un semplice soldato come tanti, altri non era che René Descartes, in Italia noto come Cartesio, che col suo celeberrimo “Discorso sul metodo” marcherà un punto chiave della filosofia occidentale.

Determinante, con la sua filosofia soggettivistica, meccanicistica e razionalista, nel superamento dell’ormai decrepito aristotelismo scolastico, Cartesio sostenne per tutta la vita che i fondamenti della sua filosofia e del suo metodo gli fossero stati ispirati e chiariti proprio da quelle tre apparizioni oniriche della sua gioventù, un fatto che le colloca, per portata storica, accanto al ben più celebre sogno di Costantino prima della battaglia di Ponte Milvio. Tra i tanti appassionati studiosi di Cartesio, il presbitero francese Adrien Baillet, nato nel 1649, è senza dubbio uno dei più importanti, essendosi occupato di mettere per iscritto una biografia del grande filosofo e matematico. A Baillet dobbiamo in particolare una descrizione dettagliata dei tre sogni fatti da Cartesio quella notte; una descrizione che si basava su una serie di appunti che lo stesso filosofo francese aveva trascritto, probabilmente poco dopo il suo risveglio, e denominato “Olympica, XI Novembris coepi intelligere fundamentum inventi mirabilis”. Questi appunti, contenuti in un “taccuino” assieme ad altre opere giovanili, ebbero una storia travagliata. Inventariati assieme a molte altre carte a Stoccolma alla morte del filosofo nel 1650, furono spediti via nave in Francia all’amico di Cartesio Claude Clerselier, ma durante la risalita della Senna verso Parigi, dove li attendeva il destinatario, il barcone si capovolse a poche centinaia di metri dalla meta. Clerselier riuscì a recuperare comunque il carico, che nonostante la disavventura pare non si fosse danneggiato più di tanto. Nel 1676, ventisei anni dopo la morte di Cartesio, questi appunti passarono tra le mani del filosofo tedesco Leibniz, che giunto a Parigi appositamente, aveva insistito con un riluttante Clerselier per consultare gli appunti del padre del razionalismo. Lo stesso Baillet ebbe modo di consultarli e ricopiarli nel 1690; dopo la morte di Baillet, avvenuta nel 1706, le tracce del taccuino si perdono, anche se è ragionevole ritenere che questo documento fondamentale per la storia della filosofia occidentale possa esistere ancora, probabilmente in Francia. La nostra ricostruzione dell’ “intuizione” del metodo di Cartesio non può dunque che basarsi sulla descrizione dei tre sogni annotata da Baillet nella sua “Vie de monsieur Descartes” del 1691.

Baillet ci riporta che tali sogni non furono fulmini a ciel sereno, ma che il terreno sul quale ebbero a germogliare fu a lungo preparato, seppur inconsapevolmente, dal giovane Cartesio. Critico verso la dura educazione dogmatica ricevuta da bambino al collegio gesuitico di La Flèche, Cartesio aveva passato i suoi primi anni dopo la scuola, prima di arruolarsi, ritirandosi e studiando per suo conto a Saint-Germain, presso Parigi, e poi a Breda, nei Paesi Bassi. Furono anni di tormenti interiori, che lo portarono a maturare critiche profonde verso l’educazione scolastica ricevuta, pur non perdendo egli la fede, che anzi mai venne a mancargli nella vita. L’aristotelismo e le dottrine tomistiche della Chiesa e della scuola gli parvero sempre più sorpassate, e dentro il filosofo andò maturando una critica fortemente distruttiva verso di esse. Alla distruzione interiore dei vecchi sistemi però non sopraggiunse alcuna nuova dottrina a riempire lo spazio vuoto creatosi tanto che, riporta Baillet, “la sua immaginazione gli rappresentava il proprio spirito del tutto nudo”. Tale nudità non aveva alcun compagno se non “l’amore per la verità”, la ricerca della quale lo tormentò severamente anche negli anni dell’arruolamento. Fu questo stato di tormento a determinare una condizione di profonda prostrazione, che del resto Cartesio non si sforzava di curare distraendosi. Fu in questa condizione di sofferenza che, ci riporta Baillet, “il cervello gli si infiammò”, ponendolo nella giusta disposizione per ricevere sogni e visioni, che infatti si manifestarono quella notte di Novembre. Come un malato dell’antica Grecia in visita al santuario di Asclepio ad Epidauro, Cartesio, nella sua nudità spirituale propiziata da quella che era stata la sofferenza nel suo abaton interiore, ebbe infine il suo sogno curativo e rivelatore.

Quasi subito dopo essersi addormentato, Cartesio, in sogno, si ritrovò a camminare per le strade di una città, lungo le quali si trovò a venir spaventato da “fantasmi”. Colpito da questo terrore, gli si sviluppò una forte debolezza sul lato destro del corpo, tanto da costringerlo, con grande imbarazzo, a camminare curvo sul fianco sinistro. Tentando più volte di rialzarsi ritto, falliva, poiché ogni volta folate impetuose di vento lo costringevano nuovamente ad assumere la posizione ricurva, facendolo addirittura girare su sé stesso e rischiando di farlo cadere. Per sfuggire a questa penosa situazione cercò di rifugiarsi in un collegio la cui porta appariva aperta lungo la strada. Incamminandosi verso la porta del collegio poiché desiderava andarvi a cercar conforto pregando nella sua chiesa, vi entrò, ma superò una persona a lui nota, e volendo tornare indietro per salutarla fece per tornare sui suoi passi, ma una violenta folata di vento lo spinse proprio contro la chiesa dove aveva intenzione di andare a pregare. Tuttavia, al centro del cortile del collegio stava un’altra persona, che lo chiamò con gentilezza, dicendogli che se per caso avesse dovuto andare a parlare con un tale Signor N. egli aveva qualcosa da dargli. Cartesio nel sogno arguì che questo “qualcosa” altro non fosse che un melone. Attorno a quest’uomo che lo aveva chiamato si radunavano a discutere molte persone, tutte però ben piantate e dritte, mentre solo lui manteneva la posa curva, nonostante il vento fosse ormai grandemente diminuito. Svegliandosi di soprassalto, Cartesio affermò di aver provato in quel momento un vero dolore. La natura di questo dolore fisico non ci è stata tramandata da Baillet, né si sa se Cartesio l’avesse annotata sui suoi appunti, sappiamo però che Cartesio temette la visita “di un cattivo genio che l’avesse voluto sedurre”, fatto che rimanda alla credenza della seduzione delle succubi e del senso di soffocamento ed oppressione al petto che ne conseguirebbe durante la notte.

Dopo questa intensa esperienza Cartesio non riuscì a prendere sonno per oltre due ore, e per questo tempo a lungo rimuginò sui “beni e mali di questo mondo”. Riuscito infine a riprendere sonno gli si presentò un nuovo vivido sogno. Questa nuova apparizione si fece annunciare da un forte rombo, come di tuono. Lo spavento per questo fenomeno lo fece nuovamente svegliare di soprassalto. La stanza attorno a lui gli appariva piena di scintille e braci infuocate, un fenomeno che però pare non fosse nuovo a Cartesio. Aprendo e chiudendo ripetutamente gli occhi riuscì, comunque, a riprendere la calma usando la ragione, e percependo ciò che vedeva come non ostile ma frutto della propria interiorità. La paura passò e Cartesio si rimise a dormire

L’apparizione del terzo sogno fu immediata, ma differentemente dai primi due non ebbe nulla di angosciante: sulla tavola di casa sua notò per caso un libro, senza sapere chi lo avesse portato e messo lì. Fu molto felice di questo caso fortuito, poiché si accorse che si trattava di un dizionario che gli sarebbe stato molto utile. Mentre si rallegrava di ciò, un altro libro gli “compariva” sotto al braccio, e nemmeno di questo Cartesio conosceva la provenienza. Sfogliatolo, notò come si trattasse di un “Corpus poetarum” diviso in cinque libri stampati in varie città. Aprendolo per curiosità, i primi versi che gli pararono davanti furono quelli che recitavano “Quod vitae sectabor iter?” (“quale percorso dovrò intraprendere nella vita?”). In quel momento, davanti a lui comparve un uomo sconosciuto, il quale volle mostrargli un componimento poetico, a suo giudizio eccellente, che cominciava con i versi “Est et non” (“sì e no”). Cartesio rispose allo sconosciuto che sapeva di cosa si trattasse, ovvero di versi del poeta tardo-antico Ausonio contenuti nel Corpus poetarum da lui appena consultato, e fece per mostrare all’uomo la poesia di cui parlava. Mentre sfogliava il testo alla ricerca della citazione, lo sconosciuto gli chiese dove avesse trovato quel testo, e Cartesio gli rispose che effettivamente non lo sapeva, essendoselo trovato per le mani improvvisamente e senza nessuna spiegazione. Disse anche che fino a poco prima aveva tenuto tra le mani il Dizionario, ma che ora sparito misteriosamente come era comparso. Nel dir questo si avvide che il Dizionario era nel frattempo ricomparso dall’altro capo del tavolo, pur senza alcune parti che invece erano presenti precedentemente. Riuscì infine a ritrovare la raccolta di Ausonio nel Corpus, ma non gli riuscì di individuare la poesia esatta a cui lo sconosciuto si riferiva. Tuttavia, Cartesio precisò allo sconosciuto che ne conosceva una molto più bella, e questa era proprio quella che recitava “Quod vitae sectabor iter?”. Lo sconosciuto lo pregò con vivo interesse di mostrargliela, ma egli non riuscì più a trovarla, trovandosi di fronte invece a una serie di tanti “piccoli ritratti” a incisione. Di fronte a questa stranezza Cartesio lodò la bellezza del libro, ma fece presente allo sconosciuto che quella non era l’edizione da lui consultata precedentemente. Fu a quel punto che l’uomo ed i libri sparirono improvvisamente.

Tuttavia Cartesio non si destò ma, rimanendo assolutamente lucido, cominciò, all’interno del sogno stesso e senza mai risvegliarsi, l’interpretazione del sogno stesso. Cartesio interpretò il Dizionario come l’insieme di tutte le scienze, mentre al Corpus attribuì la ritrovata unitarietà di filosofia e saggezza. I poeti, infatti, sapevano dare spiegazioni molto più sensate di molti filosofi, e per giunta in maniera più semplice. Sempre all’interno del sogno, Cartesio interpretò il verso “Quod vitae sectabor iter?” come il consiglio di un saggio che lo invitava a intraprendere la via della conoscenza. Si svegliò, e in uno stato di probabile dormiveglia (Cartesio annotò come fosse difficile, in questa fase, capire se stesse ancora dormendo o se si fosse svegliato), continuò a interpretare il suo sogno. Il Corpus rappresentava l’unione dei concetti di Rivelazione ed Entusiasmo, due stati dell’essere quasi mistici e dionisiaci dai quali Cartesio aspirava a trarre, come gli antichi poeti, conoscenza ed ispirazione. Interpretò “Est et non” come un riferimento al pitagorico si/no (ναὶ καὶ οὔ) in rapporto alle conoscenze ed alle scienze umane. Trovando così un senso a tutto lineare a questo sogno si persuase che uno “Spirito di Verità” lo avesse visitato durante la notte con lo scopo di aprirgli la conoscenza di tutto il sapere.

Come in “Canto di Natale” di Charles Dickens, Cartesio interpretò i tre sogni come messaggeri rispettivamente di passato, presente e futuro. Il primo sogno per Cartesio rappresentava il suo passato, in particolare la tarda fanciullezza e l’adolescenza. I turbini di vento che lo spingevano fino a sbatterlo contro i muri della chiesa, altro non erano che l’educazione coercitiva e dogmatica ricevuta dai Gesuiti a La Flèche. Questi venti intendevano a spingerlo in un luogo, la casa di Dio, dove egli voleva già andare volontariamente, per giunta allettato da una dolce solitudine (il melone), ma influivano su di lui con forza coercitiva, spaventandolo. Per questo motivo Dio, secondo Cartesio, aveva fatto terminare il primo sogno prima della sua entrata nella Chiesa. Dio non aveva voluto che egli fosse trascinato in quel luogo, pur santo, da uno spirito non benigno. Dio voleva essere conosciuto volontariamente con la ragione, non con la coercizione.

L’inquietudine del secondo sogno fu invece interpretata da Cartesio come la sua sinderesi, ovvero il riconoscimento del suo stato di peccato presente ed i suoi rimorsi, ma il tuono altro non era che il rumore dello Spirito di Verità che calava dal cielo per possederlo.

Per questo motivo, riconosciuta l’errata impostazione della sua educazione giovanile impartita dai Gesuiti, riconosciuti i suoi peccati, ed infine illuminato e posseduto dallo Spirito di Verità che lo aveva reso edotto sul vero e sul falso da distinguere tramite una necessaria riunificazione di filosofia, saggezza e poesia, Cartesio si sentì pronto per procedere con la sua opera di rottura. Da lì a poco Cartesio abbandonerà la vita militare per dedicarsi totalmente agli studi ed ai viaggi. Lo studio intenso della matematica, della geometria, dell’astronomia e delle altre scienze, pur senza mai perdere di vista i classici, culminò con la pubblicazione del coronamento della sua filosofia, il Discorso sul metodo del 1637, che darà inizio alla tradizione soggettivistica della filosofia moderna, oltre a rappresentare, fin dalle prime righe, una pietra miliare del nascente pensiero illuministico.

Sebbene per tutta la vita Cartesio sia rimasto un fervente cattolico, risultando tra l’altro decisivo nella conversione della regina Cristina di Svezia, e sebbene egli mirasse a rinnovare (come da tradizione gesuitica), il patrimonio sapienziale della Chiesa attraverso il progresso, egli è passato alla storia come il padre del razionalismo meccanicista che già pochi decenni dopo la sua morte strizzava l’occhio all’ateismo. Già durante la sua vita, Cartesio aveva dovuto combattere contro gli interpreti “materialisti” del suo pensiero, tra i quali il medico olandese Hendrik De Roy, suo lettore, che contrapponendosi al maestro, in particolare dopo la pubblicazione delle “Meditazioni Metafisiche”, ne avevano tratto conseguenze esclusivamente meccanicistiche ed immanentiste. Il diffondersi di questo modo di intendere la filosofia di Cartesio portò le autorità dell’Università di Utrecht ad esecrare pubblicamente la sua dottrina filosofica. Questi fatti, assieme ai feroci attacchi da parte sia della Compagnia di Gesù (tramite padre Pierre Bourdin) sia da parte dei protestanti olandesi (tramite il predicatore calvinista Gijsbert Voet), delusero moltissimo Cartesio, che invece si era sempre sentito investito del compito di rinnovare una Fede la cui sclerotizzazione sull’aristotelismo dogmatico lo preoccupava. Nondimeno, l’incomprensione dei religiosi verso il filosofo francese non fece altro che accrescerne l’immeritata e indesiderata fama di ateo e materialista, conferendogli una visione ribellistica e polemista che Cartesio, sempre fiero della sua vita ritirata e lontana dalle polemiche, non ebbe mai. L’impatto fu in ogni caso enorme e l’eco di quei tre sogni tutt’ora riverbera nel mondo che ci circonda.

Lo Spirito che possedette Cartesio quella notte, tuttavia attende ancora il fine per il quale il filosofo suppose si fosse manifestato: la cultura occidentale attende ancora la sua riforma, il suo ritorno “E pluribus unum”. Nella felice intuizione heideggeriana a proposito delle ideae innatae cartesiane come rappresentazione, e nella concezione del pensiero come percezione, come fornitura a noi stessi (Sich-zu-stellen) di immagini rappresentate, sta ancora rinchiusa, come un germoglio nel seme, il tesoro della filosofia cartesiana per l’orizzonte del pensiero occidentale moderno. Un orizzonte nel quale, come aspirato dallo stesso Cartesio, poeti (signori della rappresentazione) e scienziati (signori della percezione) ritornino a camminare insieme per estrarre da noi “i semi di scienza come scintille nella selce” (Cartesio, Cogitationes privatae) poiché, come già ricordato da Heidegger nel suo “Nietzsche

“[…] non solo il conoscere, il volere, l’immaginare, ma anche il sentire sono qui nella stessa cosa che chiamiamo cogitare

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