Pascal Bruckner, un intellettuale repubblicano di fronte alla modernità

Attivo da oltre dieci anni come blogger online, aspirante filosofo,…
Non fa sconti a nessuno il nuovo libro di Pascal Bruckner, “Un colpevole quasi perfetto. La costruzione del capro espiatorio bianco”, edito da Guanda ed uscito nelle librerie alla fine di Maggio. Bruckner, che nonostante il cognome germanico è parigino di nascita, rappresenta una delle voci più autorevoli nel panorama filosofico e letterario francese contemporaneo.
Benché Bruckner non sia facilmente incasellabile politicamente, avendo manifestato vicinanza tanto -soprattutto in passato- alle istanze del socialismo democratico quanto, specialmente oggi, al campo neoconservatore, possiamo definirlo senza patemi un repubblicano. Con il termine Repubblicano non intendiamo certo la nozione afferente al GOP statunitense, quanto piuttosto a quella, tipicamente francese, che denota il patriottismo laico e costituzionale della République. Il nuovo polemico saggio di Bruckner, pur non scendendo mai in definizioni, non fa mistero di questo orientamento, che emerge periodicamente all’interno delle 311 pagine del volume.
Diviso in tre parti, il saggio si occupa di attaccare il tridente che secondo Bruckner starebbe minacciando non solo l’Europa ma l’intero mondo occidentale: il neofemminismo, l’antirazzismo fanatico ed il senso di rassegnazione. Da illuminista, Bruckner non può tollerare, tra le tante cose, la ridefinizione narrativa tipicamente postmoderna di concetti acclarati ed indiscutibili come, per esempio, la famiglia o i sessi biologici. L’idea che il discorso possa correggere, o addirittura cambiare, rifondare, costruire la verità è, per usare l’aggettivo utilizzato dall’autore, “allarmante”. Si può dire a ragione che l’intero libro sia un forte, disperato, ancorchè lucido grido lanciato in difesa della ragione contro l’irrazionalità delle narrazioni postmoderne di fronte al concreto ed all’umano. Soprattutto nel primo capitolo, infatti, quello dedicato al neofemminismo, il pericolo della minaccia della scienza nei confronti delle società umane è ben testimoniato. Che la scienza, un tempo nume tutelare del razionalismo potesse essere collocata sotto al giogo dei capricci dei singoli immaginari, è un’eventualità ben conosciuta dall’autore, che del resto vive e lavora nella patria di Gilles Deleuze, Félix Guattari, Jean-François Lyotard e Jacques Derrida. Attitudine, quella postmoderna, denunciata già in un gustoso prologo che riporta lo “scherzo” degli accademici americani Boghossian, Lindsay e Pluckrose che, presentando alla rivista accademica “Sociology of Race and Ethnicity” un campionario di stralci dal Mein Kampf che riportano però la parola “ebrei” sostituita con quella “bianchi” vengono presi sul serio e applauditi da numerosi accademici. Uno scherzo che non può non ricordare quello orchestrato dal fisico razionalista Alan Sokal contro la rivista culturale postmoderna americana Social Text, alla quale Sokal inviò un delirante articolo, totalmente e deliberatamente privo di senso (conteneva espressioni insensate come “algebra femminista”), ma che non mancò di essere ossequiosamente pubblicato tra mille complimenti.
La critica al neofemminismo è serrata, affilata e armata di studi scientifici e dati, oltre che da una robusta bibliografia di articolistica femminista. Bruckner non fa sconti: e anche se ammette tranquillamente come la battaglia per la parità sia stata essenziale per la costruzione di un Francia laica, equa e moderna, non può nemmeno esimersi dal citare il padre del liberalconservatorismo, Alexis de Tocqueville. “Un popolo insorge quando la situazione migliora, non quando peggiora”. “Il desiderio di uguaglianza diventa sempre più insaziabile a mano a mano che l’uguaglianza si fa più grande”. Sono due frasi di Tocqueville, un filosofo che, nel suo essere al contempo di nobili origini e illuminista, francese ma appassionato dell’America, non poteva non attrarre Bruckner. E Bruckner, di America, se ne intende molto. Letteralmente ogni pagina trasuda di Nuovo Mondo e il giudizio, va detto, non è generoso. Pur non tenero verso una Francia culturalmente ormai prona a qualsiasi moda proveniente dall’Occidente, l’autore non può non rimarcare come l’intero corpus del pensiero unico dominante non sia altro che una ruminazione a stelle e strisce di quel decostruzionismo francese che in Francia era rimasto un bizzarro vezzo per intellettuali e filosofi, ma che aveva trovato, negli States, il luogo perfetto per mutarsi in virus pernicioso ed aggressivo. Arricchito dal messianismo puritano mai completamente scomparso dalla costa ovest dell’Atlantico, il decostruzionismo postmoderno si è saldato al nuovo razzismo risentito delle varie “minoranze” etniche tipiche di una settler society come quella americana, ansiose non di una riconciliazione con l’odiato uomo bianco, quanto piuttosto di un’interminabile ed eterno Processo di Norimberga. “Vi abbiamo dato Deleuze e ci restituite Judith Butler“, sembra sentirsi dire, dal punto di vista di un lettore americano, dall’autore.

Nella complessa geometria delle oppressioni e del dolore denominata “intersezionalità” c’è posto, logicamente, anche per le donne. E benché l’ostilità per le donne bianche non manchi, anche quando femministe, esse sono comunque fuori dal più immediato centro del mirino. L’obbiettivo principale della decostruzione è principalmente il maschio bianco. Di maschio bianco come fonte di ogni male esiste una nutrita bibliografia, citata continuamente dall’autore, così come anche le sofferenze di coloro che intendono passare da un sesso all’altro sono minuziosamente documentate.
La seconda parte, quella dedicata al razzismo antirazzista, che da’ titolo al saggio, è quella che più trasuda l’identità, impregnata di nazionalismo civico, dell’autore e filosofo francese. Bruckner, da buon repubblicano, non ravvisa alcunché di sbagliato o pericoloso nella società multirazziale, spingendosi addirittura ad affermare, come Trotsky, che chi non ama esservi immerso vive, letteralmente, “nel secolo sbagliato”. A contrariare l’autore è piuttosto la società multiculturale: “tante razze sì, tante culture no”, diremmo se volessimo sbrigativamente riassumere il pensiero dell’autore. E se persino “Dio è sottomesso al codice civile come qualunque cittadino di qualunque ceto sociale” (pag. 250) allora è chiaro che non vi è posto, perlomeno nella Francia archetipica di Bruckner, per l’islamismo o per qualsiasi altro dettame religioso, ancorché proveniente da popoli che la vulgata vorrebbe “oppressi”. L’unico Dio è, appunto, il Codice Civile, e l’unico obbiettivo è il vivere insieme. Bruckner sembra qui però non ravvisare la debolezza ontologica del proprio pensiero. La dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, alla base dell’egualitarismo e del laicismo di matrice illuminista e francese, è una costruzione narrativa come tutte le altre la quale, però, indugia troppo nel suo volersi razionale. Nel pur ottimo testo manca, probabilmente, la percezione di come tale razionalità abbia generato un isterico istinto di rivalsa nei suoi stessi confronti. L’egualitarismo non è morto, è anzi più vivo che mai, ma intende spogliarsi nell’abito della ragione per vestire quello del sentimento, per calarsi in un mondo nuovamente reincantato come ai tempi del medioevo, dal quale gli antirazzisti moderni riprendono, secondo l’autore, le consolidate prassi del linciaggio, dei roghi di libri, dell’antisemitismo e degli auto da fè. Le vecchie teorie dell’emancipazione e della lotta di classe tramontano, rimane la lotta senza quartiere tra le razze, come nelle più fosche previsioni di due personaggi diversissimi ed agli antipodi tra loro come il filosofo Raymond Aron ed il militante neofascista Franco Giorgio Freda. Non si cerca più il predominio, quanto piuttosto la vendetta, ma i massacri rimangono. Nemmeno la fosca profezia, che vale la pena citare per intero, dello scrittore Albert Caraco suonerebbe troppo estranea al messaggio di questo libro:
“Gli Africani e gli Asiatici hanno scoperto il Nazionalismo, e non sono estranei al Razzismo, quella gente segue le nostre orme, e se aspettiamo che si disingannino, diventeremo loro servi o loro vittime, le nostre donne saranno le loro prostitute e i nostri beni il loro bottino. Non ci perdoneranno di averli umiliati senza poi sterminarli, non ci perdoneranno di averli costretti ad abdicare nella speranza di vincerci, ci vinceranno, se avremo ragione troppo presto, essi si giovano tanto dei nostri spirituali, all’ombra dell’ecumenismo, quanto dei nostri intellettuali, sotto il manto dell’obiettività: siamo perduti, se cadiamo nella trappola. Parliamo di fraternità e dimentichiamo che di fronte a noi abbiamo dei mendicanti e dei vendicatori, brutti, malsani, viziosi, crudeli e dispotici, più cattivi dei peggiori di noi e più bugiardi dei nostri sofisti più incalliti”.
Dietro un simile telegramma dall’apocalisse c’è molto di ciò che intravede anche Bruckner, il quale però chiama a raccolta gli uomini liberi, pensanti e razionali, di tutte le razze e di entrambi i sessi per non cedere al ricatto. Proprio con queste parole si conclude il libro: “non cediamo al ricatto!”. E se qualcuno ambisce a far morire l’Occidente (che sia di inedia, di terrorismo o di desertificazione economica poco cambia), la risposta del filosofo parigino è lapidaria ed eloquente: “Dopo di voi”.
“File:Paris – Salon du livre de Paris 2017 – Pascal Bruckner – 004.jpg” by Thesupermat is licensed under CC BY-SA 4.0
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Attivo da oltre dieci anni come blogger online, aspirante filosofo, aspirante scrittore, sincero amante di libri, sigari e buon jazz.